Papa Francesco: le radici della fraternità nutrite dal Vaticano II



Il volume di Czerny e Barone va al fondo delle parole e dell’azione di Francesco, evidenziando come l’impegno per gli ultimi è parte della tensione escatologica

Papa Francesco tra i fedeli in piazza San Pietro

Il libro Fraternità segno dei tempi. Il magistero di Papa Francesco (Libreria Editrice Vaticana, pagine 264, euro 12,00 in libreria dal 30 settembre), di cui anticipiamo ampi stralci della prefazione firmata dal Pontefice, sarà presentato giovedì alle ore 15.30 nella Sala Barberini della Biblioteca Apostolica Vaticana a Roma. Dopo i saluti del cardinale José Tolentino de Mendonça interverranno don Armando Matteo, suor Alessandra Smerilli, Aboubakar Soumahoro. Modera Gerard O’Connell. I due autori, il cardinale Michael Czerny, sottosegretario del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano integrale, canadese, gesuita, e don Christian Barone, teologo, docente a Catania, interverranno al termine. L’evento sarà trasmesso in diretta su vaticannews.va.

Sono grato al cardinale Michael Czerny e a don Christian Barone, fratelli nella fede, per questo contributo che offrono sulla fraternità e per queste pagine che, mentre hanno l’intento di introdurre all’Enciclica Fratelli tutti, cercano di portare alla luce e di esplicitare il profondo legame tra l’attuale Magistero sociale e le affermazioni del Concilio Vaticano II. Talvolta questo legame a prima vista non emerge e provo a spiegare il perché. Nella storia dell’America Latina in cui sono stato immerso, prima da giovane studente gesuita e poi nell’esercizio del ministero, abbiamo respirato un clima ecclesiale che, con entusiasmo, ha assorbito e fatte proprie le intuizioni teologiche, ecclesiali e spirituali del Concilio e le ha inculturate e attuate. Per noi più giovani il Concilio diventò l’orizzonte del nostro credere, dei nostri linguaggi e della nostra prassi, cioè diventò ben presto il nostro ecosistema ecclesiale e pastorale, ma non prendemmo l’abitudine di citare spesso i decreti conciliari o soffermarci su riflessioni di tipo speculativo. Semplicemente, il Concilio era entrato nel nostro modo di essere cristiani e di essere Chiesa e, nel corso della vita, le mie intuizioni, le mie percezioni e la mia spiritualità furono semplicemente generate dalle suggestioni della dottrina del Vaticano II. Non c’era tanto bisogno di citare i testi del Concilio. Oggi, probabilmente, passati diversi decenni e trovandoci in un mondo – anche ecclesiale – profondamente cambiato, è necessario rendere più espliciti i concetti-chiave del Concilio Vaticano II, i fondamenti delle sue argomentazioni, il suo orizzonte teologico e pastorale, gli argomenti e il metodo che esso ha utilizzato. Cardinale Michael e don Christian, nella prima parte di questo prezioso libro, ci aiutano molto in questo. Loro leggono e interpretano il Magistero sociale che cerco di portare avanti, portando alla luce qualcosa che si trova un po’ sommerso tra le righe, cioè l’insegnamento del Concilio come base fondamentale, punto di partenza, luogo che genera domande e idee e che, perciò, orienta anche l’invito che oggi rivolgo alla Chiesa e al mondo intero sulla fraternità. Perché la fraternità, che è uno dei segni dei tempi che il Vaticano II porta alla luce, è ciò di cui ha molto bisogno il nostro mondo e la nostra Casa comune, nella quale siamo chiamati a vivere come fratelli e sorelle. In questo orizzonte, poi, il libro che mi accingo a presentare ha anche il vantaggio di rileggere nell’oggi l’intuizione conciliare di una Chiesa aperta, in dialogo con il mondo. Alle domande e alle sfide del mondo moderno, il Vaticano II cercò di rispondere con il respiro di Gaudium et Spes; ma oggi proseguendo nel solco di quel cammino tracciato dai Padri conciliari, ci accorgiamo che c’è bisogno non solo di una Chiesa nel mondo moderno e in dialogo con esso, ma soprattutto di una Chiesa che si pone al servizio dell’uomo, prendendosi cura del creato e annunciando e realizzando una nuova fraternità universale, in cui i rapporti umani siano guariti dall’egoismo e dalla violenza e siano fondati sull’amore reciproco, sull’accoglienza, sulla solidarietà. Se è la storia odierna a chiederci questo, specialmente in una società fortemente segnata da squilibri, ferite e ingiustizie, ci accorgiamo che anche questo è nello spirito del Concilio, che ci ha invitati a leggere e ascoltare i segnali derivanti dalla storia umana. Il libro del cardinale Michael e di don Christian ha anche questo merito: ci offre una riflessione sulla metodologia utilizzata dalla teologia post conciliare e dallo stesso Magistero sociale, mostrando come essa sia intimamente connessa alla metodologia usata dal Concilio, cioè un metodo storico-teologicopastorale, in cui la storia è luogo della rivelazione di Dio, la teologia sviluppa gli orientamenti attraverso una riflessione e la pastorale li incarna nella prassi ecclesiale e sociale. In tal senso, il Magistero del Santo Padre ha sempre bisogno di ascoltare la storia e ha bisogno del contributo della teologia. Infine, vorrei ringraziare il cardinale Czerny anche per il coinvolgimento, in questo lavoro, di un giovane teologo, don Barone. Questa unione è feconda: un cardinale, chiamato al servizio della Santa Sede e a essere una guida pastorale, e un teologo fondamentale. È un esempio di come si possono unire lo studio, la riflessione e l’esperienza ecclesiale, e anche questo ci indica un metodo: una voce ufficiale e una voce giovane, insieme. Così occorre camminare sempre: il Magistero, la teologia, la prassi pastorale, la leadership. Sempre insieme. La fraternità sarà più credibile, se iniziamo anche nella Chiesa a sentirci “fratelli tutti” e a vivere i nostri rispettivi ministeri come servizio al Vangelo e all’edificazione del Regno di Dio e alla cura della Casa comune.

Una veglia di preghiera in Piazza San Pietro

Sul cammino tracciato da “Gaudium et spes”

Yves Congar la definì “la terra promessa” del Vaticano II. La Gaudium et spes, unico documento elaborato completamente nelle sessioni conciliari, rappresentò una “rivoluzione copernicana” nei rapporti costruiti negli ultimi quattro secoli tra Chiesa e mondo. Non solo superò la pregiudiziale nei confronti della Modernità – fino ad allora considerata “errore da cui proteggersi” –, ma presentò il dialogo con il presente come esercizio di autoconsapevolezza per l’identità ecclesiale. Calandosi nella storia, confrontandosi con essa la Chiesa cresce nella comprensione della Rivelazione, nella conoscenza del mistero di Dio. All’interno di questo orizzonte si colloca il Magistero sociale di papa Francesco e il testo che ne costituisce una delle assi portanti: Fratelli tutti. Nella terza enciclica del Pontefice, «possiamo riconoscere la traiettoria tracciata dalla Gaudium et spes, anzitutto nella scelta di “ascoltare attentamente, discernere e interpretare i vari linguaggi del nostro tempo”, ma anche nel richiamo alla vita sociale come “luogo” in cui la Chiesa può “conoscere più profondamente” se stessa nella “costituzione datale da Cristo” e, dunque, impegnarsi “per meglio esprimerle e per adattarla con più successo ai nostri tempi”», scrivono Michael Czerny e Christian Barone in Fraternità “segno dei tempi”. Il magistero sociale di papa Francesco, in uscita giovedì per la Libreria editrice vaticana (Lev), e del quale lo stesso pontefice firma la prefazione. Un saggio già di per se “sinodale” perché nasce dal confronto tra un cardinale e un teologo fondamentale, una “voce ufficiale” e una “voce giovane, insieme”. Se il legame tra Francesco e il Concilio è noto – più volte lo ha esplicitato lo stesso Papa –, la trama che lo intesse non era finora stata scandagliata in profondità, fino a individuarne le fibre più intime. Il saggio di Czerny e Barone le delinea con audacia e acutezza di analisi, consentendo al lettore di cogliere appieno la sintonia tra la “Chiesa in uscita”, instancabilmente edificata da Bergoglio e l’orizzonte teologico tracciato dal Vaticano II. Due, in particolare, sono gli elementi che Francesco mutua e rilancia dal Concilio: il metodo di lettura del reale e la categoria dei segni dei tempi. Egli ha fatto propria l’intuizione di Giovanni XXIII: per entrambi la pastoralità non è l’applicazione pratica di astratti principi dottrinali bensì una «dimensione costitutiva e interna alla dottrina», affermano gli autori. Le “riserve” e “incomprensioni” di alcuni sul Magistero sociale del Papa esprimono, nel fondo, un’interpretazione ancora selettiva del Concilio. E, in particolare, la difficoltà di accettare la scelta fatta dai padri conciliari fin dalla prima sessione dell’autunno 1962 e che costituiscono l’ethos della Gaudium et spes. La determinazione, cioè, di passare da un paradigma astorico a una lettura storica- salvifica degli eventi da cui discende un cambiamento di metodo. La Costituzione non enuncia dei principi né mette in primo piano i cosiddetti “presupposti della fede”: la presenza e l’azione ecclesiali nel mondo implicano una “funzione maieutica” nei confronti dell’essere umano concreto, situato nel tempo e nello spazio. «Rilevando le inquietudini che affiorano in ogni epoca e gli interrogativi di senso che da sempre si agitano nel profondo della coscienza umana, la Chiesa è chiamata a dare ragione della speranza che la abita annunciando il Vangelo e testimoniando la carità», si legge nel saggio. Strettamente collegata al metodo, è la figura dei segni dei tempi, con cui la storia diviene “luogo teologico”: da qui il dovere di cercarvi nelle sue pieghe e contraddizioni, «le tracce della venuta di Dio in mezzo a loro». Esattamente ciò che propone Francesco quando, con umiltà, chiede alla Chiesa di mettersi in ascolto del mondo, rinunciando a una postura asimmetrica. Fraternità e amicizia sociale – il nucleo di Fratelli tutti – sono, in quest’ottica, “segno dei tempi”. Guardarvi come a una realtà dinamica e aperta rappresenta per la Chiesa un percorso di annuncio e trasmissione del Vangelo. Non è più sufficiente limitarsi a comunicare le verità di fede: il credente assume con l’alterità della realtà e dei propri simili uno stile relazionale. È proprio questa capacità di guardare al futuro della Chiesa e dell’umanità più che al passato, ad attribuire, secondo gli autori, «al Magistero di Francesco una forza dirompente che può allarmare e disorientare. Per il fatto di richiamare costantemente l’attenzione sui poveri, sui migranti e sui sofferenti di ogni tipo, Francesco è stato frainteso e accusato di far prevalere la componente sociale sulla dimensione trascendente della fede. In realtà, i suoi appelli sembrano percorsi da una profonda tensione spirituale ed escatologica: egli è fermamente convinto che «Alla fine della nostra vita saremo giudicati sull’amore, cioè sul nostro concreto impegno di amare e servire Gesù nei nostri fratelli più piccoli e bisognosi”».

Author: La Fede Cattolica

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