Sant’Agostino…il suo pensiero vivo e presente ai giorni nostri come un faro!



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Il pensiero

Sandro Botticelli, Sant’Agostino d’Ippona nello studio (1480 ca.), affresco staccato; Firenze, Chiesa di Ognissanti

Agostino ha una personalità complessa e profonda: è filosofo, teologo, mistico, poeta, oratore, polemista, scrittore, pastore. Tutte qualità che si completano a vicenda e fanno di lui un uomo “al quale quasi nessuno o certo pochissimi di quanti son fioriti dall’inizio del genere umano fino a oggi si possono comparare” (Pio XI). Scrive l’Altaner: “Il grande vescovo univa in sé l’energia creatrice di Tertulliano e la larghezza di spirito di Origene con il senso ecclesiastico di Cipriano, l’acutezza dialettica di Aristotele coll’idealismo alato e la speculazione di Platone; il senso pratico dei latini con la duttilità spirituale dei greci. Fu il massimo filosofo dell’epoca patristica e senza dubbio il più importante e influente teologo della Chiesa in generale. La sua opera incontrò fin dai suoi tempi entusiastici ammiratori” (Patrologia, Torino 1976, 433).

In realtà egli ha creato, nell’ambito del cristianesimo, la prima grande sintesi di filosofia che resta un momento essenziale nel pensiero dell’Occidente. Partendo dall’evidenza dell’autocognizione, spazia sui temi dell’essere, della verità, dell’amore e getta molta luce d’intelligibilità sui problemi della ricerca di Dio e della natura dell’uomo, dell’eternità e del tempo, della libertà e del male, della Provvidenza e della storia, della beatitudine, della giustizia, della pace.

Con umiltà e ardimento ha illustrato i misteri cristiani, determinando il più grande progresso dommatico che la storia della teologia ricordi; e non solo intorno alla dottrina della grazia, ma anche intorno alla Trinità, alla Redenzione, alla Chiesa, ai Sacramenti, all’escatologia: si può ben dire che non ci sia argomento teologico che non abbia illuminato. Ha spiegato ampiamente la dottrina morale incentrata nell’amore e la dottrina sociale e politica; ha difeso le vie dell’ascetica cristiana e indicato le vette più alte della mistica.

Come oratore ha saputo mettere insieme la profondità e la precisione dommatica del dottore, l’altezza lirica del poeta, la vibrante commozione del mistico, la semplicità evangelica del pastore che vuol farsi tutto a tutti. Conosce i diversi stili dell’oratoria, che egli stesso descriverà verso la fine della vita nel De doctrina christiana e li usa, passando con molta naturalezza da quello semplice a quello moderato e da questo, molto spesso, a quello sublime.

È un polemista formidabile. Profondamente convinto della verità e dell’originalità della dottrina cattolica, la difende contro tutti – pagani, giudei, scismatici, eretici – con le armi della dialettica e con le risorse della fede e della ragione. Ma ebbe rispetto per gli avversari. Ne studiò le opere, ne riportò il testo che confutava, ne riconobbe i meriti, ne dissimulò e perdonò le offese. Imparò dalla sofferta esperienza dell’errore a essere buono con gli erranti.

Della retorica fu maestro consumato. Se ne servì e insegnò ad altri a servirsene (cfr. De doctrina christiana 4), subordinandola sempre, però, al contenuto. “Si deve considerare il contenuto al di sopra delle parole come l’anima al di sopra del corpo” (De catechizandis rudibus 9, 13). Quando fosse necessario, pur di farsi capire, non ebbe timore di usare neologismi o di sgrammaticare. “Preferisco essere criticato dai grammatici che non essere capito dal popolo” (In psalmos 138, 19; 36, Sermones 3, 6; Sermones 37, 14). Se nelle prime opere lo stile è ancora classicheggiante – “gonfio della consuetudine delle lettere secolari” (Retractationes, prologus 3) – nelle altre va ispirandosi sempre più alla Bibbia e agli autori ecclesiastici, contribuendo validamente, in questo modo, a creare il latino cristiano. Non ebbe un solo stile, ma tanti, si può dire, quanti ne esigevano i contenuti delle sue opere: le Confessioni, la Città di Dio, i Discorsi, le Lettere – queste ultime secondo la diversità dell’argomento – hanno uno stile chiaramente diverso nella struttura del periodo e nel vocabolario, adeguato alla fisionomia delle singole opere.

Statua di Sant’Agostino; Siviglia, Convento di San Leandro

Particolarmente interessante è lo studio dell’animo di Agostino. Alle straordinarie qualità intellettive facevano riscontro quelle morali, che non erano inferiori. Un carattere nobile, generoso e forte; una ricerca insaziabile della sapienza; un bisogno profondo dell’amicizia; un amore vibrante a Cristo, alla Chiesa, ai fedeli; un’applicazione e una resistenza sorprendenti al lavoro; un ascetismo moderato e pur austero; una sincera umiltà che non teme di riconoscere i propri errori (cfr. Confessioni e Ritrattazioni); una dedizione assidua allo studio della Scrittura, alla preghiera, alle ascensioni interiori, alla contemplazione.

È un pastore che si sente e si definisce “servo di Cristo e servo dei servi di Cristo” (Epistola 217) e ne tira le conseguenze estreme: piena disponibilità ai bisogni dei fedeli, desiderio di non essere salvo senza di loro (“non voglio essere salvo senza di voi”, Sermones 17, 2), preghiera a Dio di essere sempre pronto a morire per loro “aut effectu aut affectu” (Sermones 296, 5), amore verso gli erranti anche se non lo vogliono, anche se l’offendono (“Dicano contro di noi quello che vogliono; noi li amiamo anche se non vogliono” – In psalmos 36, 3, 19). È pastore nel senso pieno della parola.

È un maestro che si sente discepolo e desidera che tutti siano condiscepoli della verità, che è Cristo. Nelle controversie non ama che una sola vittoria, quella propria della Città di Dio, la vittoria della verità (De civitate Dei 2, 29, 2). “In quanto a me non esiterò a cercare se mi trovo nel dubbio, non mi vergognerò d’imparare se mi trovo nell’errore. Perciò… prosegua con me chi insieme a me è certo; cerchi con me chi condivide i miei dubbi; torni a me chi riconosce il suo errore, mi richiami chi si accorge del mio” (De Trinitate 1, 2, 4-3, 5). Ritiene pertanto con grande favore essere corretto, anche se non si nasconde che chi vuol correggerlo deve anche egli guardarsi dall’errore (De dono perseverantiae 21, 55; 24, 68). Soprattutto non vuole essere identificato con la Chiesa di cui si professa figlio umile e devoto: “Sono forse io la [Chiesa] cattolica?… A me basta di essere in essa” (In psalmos 36, 3, 19).

Questo, in sintesi, l’uomo che è stato il maestro più seguito in Occidente, di cui si può ben chiamare Padre comune. “Ciò che era stato Origene per la scienza teologica del II e del IV secolo, Agostino lo fu, in modo assai più duraturo ed efficace, per tutta la vita della Chiesa nei secoli successivi fino all’epoca contemporanea. La sua influenza si estese non solo nel dominio della filosofia, della dogmatica, della teologia morale e della mistica, ma ancora nella vita sociale e caritativa, nella politica ecclesiastica, nel diritto pubblico; egli fu, in una parola, il grande artefice della cultura occidentale del Medio Evo” (Altaner, Patrologia, Torino 1976, p. 433).

Egli volle essere, come studioso e polemista, interprete fedele dell’insegnamento cattolico: questo insegnamento resta la chiave migliore per interpretarne il pensiero. “E se talora da parte dei protestanti si tentò e si tenta d’interpretare il suo pensiero come parzialmente non consono al sentire della Chiesa, si deve al contrario constatare con K. Holl che la “chiesa cattolica lo comprese sempre meglio dei suoi avversari. Il magistero ecclesiastico nelle sue decisioni non ha seguito alcun altro autore teologico quanto Agostino e ciò anche per la dottrina della grazia” (Altaner, o.c., pp. 433-434).

Infatti Celestino I ne difese la memoria e lo annoverò tra “i maestri ottimi” dichiarando che era stato sempre amato e onorato da tutti (Denzinger 237); Ormisda (Denzinger 366), Bonifacio II (Denzinger 399), Giovanni II si richiamano nelle questioni della grazia ad Agostino, “la cui dottrina secondo le decisioni dei miei predecessori – così l’ultimo Pontefice ricordato – segue e conserva la chiesa romana” (Patrologia Latina 66, 21). I Pontefici a noi più vicini – Leone XIIIPio XIPaolo VI ne hanno esaltato la dottrina e la santità. I Concili poi – di Orange sul peccato originale e la grazia, di Trento sulla giustificazione, del Vaticano I sulle relazioni tra la ragione e la fede e del Vaticano II sul mistero della chiesa, sulla rivelazione e sul mistero dell’uomo hanno attinto largamente – specialmente il primo – alla sua dottrina, dimostrando con ciò che essa non era di Agostino ma della chiesa, la quale pertanto la riconosceva per sua. È inutile ricordare che in questi casi non è più in questione il vescovo di Ippona, ma la chiesa stessa.

Per il resto egli rimane un pensatore e uno scrittore, al quale le ripetute attestazioni del magistero e la stima continua dei teologi posteriori – tra essi non ultimo s. Tommaso – hanno conferito una particolare autorità. Questa, se non autorizza nessuno a preferirne l’insegnamento a quello della chiesa (Denzinger 2330), non consente neppure, d’altra parte, di metterne in dubbio l’ortodossia o di negarne il servizio incomparabile reso alla chiesa stessa e alla civiltà cristiana.

Che il suo insegnamento sia stato interpretato lungo i secoli in maniere tanto diverse non è segno di oscurità: Agostino non è un autore oscuro, ma neppure un autore facile. Non è facile per molte ragioni: per la profondità del pensiero, per la molteplicità delle opere, per la vastità delle questioni affrontate e il modo differente di affrontarle, per la diversità del linguaggio e qualche volta l’incertezza propria dei grandi iniziatori, per l’evoluzione del pensiero stesso e la mancanza di sistemazione; e anche, in ultimo, per i limiti che esso, come ogni pensiero umano, possiede. Solo chi riesce pazientemente a superare queste difficoltà troverà il vero Agostino, quello degli scritti, “nei quali i fedeli sempre lo ritrovano vivo” (Possidio, Vita 31, 8), quello della storia, molto più ricco e più armonioso di quanto non appaia attraverso frettolose interpretazioni o agostinismi di moda.

Tardi ti amai, bellezza così antica e così nuova, tardi ti amai.
Tu eri dentro di me ed io ero fuori. Lì ti cercavo.
Deforme, mi gettavo sulle belle forme delle tue creature.
Tu eri con me, ma io non ero con te.
Mi tenevano lontano da te le tue creature, inesistenti se non esistessero in te.
Mi chiamasti, e il tuo grido sfondò la mia sordità; balenasti, e il tuo splendore dissipò la mia cecità;
diffondesti la tua fragranza, e respirai e anelo verso di te, gustai e ho fame e sete; mi toccasti, e arsi di desiderio della tua pace (Sant’Agostino nelle Confessioni)

Author: La Fede Cattolica

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